Morbegno
Italia-Brasile 3 a 2

di e con Davide Enia
musiche Akkura
musicisti in scena Fabio Finocchio e Giulio Barocchieri


Cos'è un gol nei confronti dell'espansione dell'universo?” si chiede Davide Enia, quasi all’inizio del suo spettacolo Italia – Brasile 3-2.

Niente, potrebbe dire qualcuno. Eppure quel gol insignificante (segnato all’Argentina proprio dal Brasile) costringeva l’Italia calcistica al miracolo: battere il Brasile per accedere alle fasi finali dei Mondiali di calcio. È il 1982, in terra di Spagna: l’Italia è quella che è, gli italiani pure: Enia ci offre lo spaccato di una tipica famiglia italiana, in una Palermo oppressa dal gran caldo e riscaldata ancora di più dal gran tifo: accompagnato da chitarra e percussioni, con la sua voce attenta e mai noiosa ci racconta dei piccoli riti scaramantici individuali “indispensabili” ai piccoli azzurri per battere il gigante: e allora ecco che sbucano santini sulla tele, vestiti mai lavati dalla prima partita, sigarette senza filtro fumate a nastro perché contro il Perù l’Italia aveva segnato proprio mentre lo zio di Davide ne fumava una.

Enia poi parte in fretta con la telecronaca, intervallata da lunghi, lirici aneddoti su Garrincha - che, di fronte al governatore dello stato di Rio che gli dice: “dimmi quello che vuoi, io te lo darò”, indica un passerotto chiuso in gabbia e chiede che sia lasciato libero - o come Nikolai Trusevic, l’airone della Dinamo Kiev massacrata alla fine di una partita vinta contro i tedeschi occupanti durante la seconda Guerra Mondiale… tutto però è armonizzato magistralmente, e ha le forme della narrazione ininterrotta: il racconto s’innalza, prende vigore, si fa reale e concreto davanti ai nostri occhi; ed ecco il primo errore di Paolo Rossi che svirgola un pallone, dando vita all’”idea platonica del liscio”. Ma poi si riscatta subito e segna, perché, come dice Elia, “come si può marcare un giocatore che non esiste?”.

Nella casa a Palermo, Enia racconta dell’esultanza, della gioia, del cielo sfiorato con un dito: ma solo per poco, perché il Brasile pareggia… alla festa si sostituisce lo sconforto e la delusione: è troppo forte questo Brasile, troppo forti i suoi giocatori… eppure! Eppure Rossi segna ancora, e fa sperare di nuovo l’Italia intera. La voce di Enia allora si colora mentre ci parla del catenaccio, cioè l’unico teorema calcistico che l’Italia conosce, e del suo corollario naturale, il contropiede: ma nemmeno questo basta… Il Brasile di nuovo pareggia: sembra finita davvero questa volta, e invece Rossi, uno che “non è stato un calciatore di calcio, ma un romanzo” segna il 3-2. Tutti vorrebbero esultare, ma è solo quando Zoff si lancia e blocca l’ultima palla dei carioca che arriva il fischio finale e la gioia esplode.

E alla fine, anche a noi spettatori sembra d’averla vinta davvero questa partita, quasi d’averla guardata coi nostri stessi occhi, scena per scena, azione per azione, coinvolti e trasportati dalla simpatia di Enia, dalla sua verve, dal suo dialetto siciliano.

Tra lirica intensa e disarmante simpatia, Enia non mette in scena solo una partita: il suo Italia-Brasile 3-2 non è solo spettacolo ma metafora del calcio stesso, del tifo e delle emozioni che accompagnano i fremiti di ogni sportivo… e il risultato è stato davvero ottimo.

Autore Federico Gusmeroli | 03.5.2010 Share/Bookmark