Morbegno
Italia-Brasile 3 a 2
di e con Davide Enia
Niente, potrebbe dire qualcuno. Eppure quel gol insignificante (segnato all’Argentina proprio dal Brasile) costringeva l’Italia calcistica al miracolo: battere il Brasile per accedere alle fasi finali dei Mondiali di calcio. È il 1982, in terra di Spagna: l’Italia è quella che è, gli italiani pure: Enia ci offre lo spaccato di una tipica famiglia italiana, in una Palermo oppressa dal gran caldo e riscaldata ancora di più dal gran tifo: accompagnato da chitarra e percussioni, con la sua voce attenta e mai noiosa ci racconta dei piccoli riti scaramantici individuali “indispensabili” ai piccoli azzurri per battere il gigante: e allora ecco che sbucano santini sulla tele, vestiti mai lavati dalla prima partita, sigarette senza filtro fumate a nastro perché contro il Perù l’Italia aveva segnato proprio mentre lo zio di Davide ne fumava una. Nella casa a Palermo, Enia racconta dell’esultanza, della gioia, del cielo sfiorato con un dito: ma solo per poco, perché il Brasile pareggia… alla festa si sostituisce lo sconforto e la delusione: è troppo forte questo Brasile, troppo forti i suoi giocatori… eppure! Eppure Rossi segna ancora, e fa sperare di nuovo l’Italia intera. La voce di Enia allora si colora mentre ci parla del catenaccio, cioè l’unico teorema calcistico che l’Italia conosce, e del suo corollario naturale, il contropiede: ma nemmeno questo basta… Il Brasile di nuovo pareggia: sembra finita davvero questa volta, e invece Rossi, uno che “non è stato un calciatore di calcio, ma un romanzo” segna il 3-2. Tutti vorrebbero esultare, ma è solo quando Zoff si lancia e blocca l’ultima palla dei carioca che arriva il fischio finale e la gioia esplode. |